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mercoledì 3 settembre 2008

Considerazioni sui filtri digradanti e polarizzatori

Dopo aver parlato dei filtri digradanti e polarizzatori Cokin in un mio precedente post, vorrei proseguire con altre indicazioni e riflessioni su questi ed altri filtri, prendendo spunto da richieste ricevute e considerazioni lette nel web.

Posizionamento della demarcazione tra zona opaca e zona chiara della lastrina digradante:

Molti mi chiedono come regolarsi per posizionare la linea di demarcazione del filtro. Personalmente ritengo che la tecnica più semplice sia quella di muovere la lastrina nell'holder per capire dove avviene il passaggio. Altro sistema sarebbe quello di utilizzare il tasto di simulazione della profondità di campo sul corpo macchina, se disponibile: questa funzione consente di vedere in maniera più netta la zona di demarcazione.
Per un passaggio invisibile in foto, occorrerà utilizzare le tecniche appena illustrate in paesaggi con le giuste caratteristiche, con zone d'ombra o comunque scure in cui situare la linea di demarcazione, oppure con orizzonti più o meno piatti, come nella seguente, in cui la demarcazione è stata situata sulla fascia delle montagne.


Tecnica di esposizione con filtro digradante:

Molti mi chiedono anche come regolarsi per l'esposizione con i filtri digradanti. Io utilizzo spesso l'esposizmetro matrix (a matrice) come se non ci fosse il filtro. Infatti quest'ultimo tende a bilanciare i toni dell'immagine tra primo piano e cielo, rendendo già abbastanza buona la lettura esposimetrica. Se l'esposizione non è buona si può sempre compensarla manualmente in modo da ottenere risultati perfetti.
Una tecnica raffinata prevede invece di utilizzare l'esposimetro spot sul cielo, compensando la lettura di 1-1,5 EV in positivo, poiché il cielo è un tono chiaro e l'esposimetro è invece tarato per i toni medi; il tutto con la parte scura del filtro digradante davanti all'area di messa a fuoco utilizzata dall'esposimetro.

Filtri digradanti colorati:

Alcuni mi hanno chiesto dei filtri graduati colorati che si trovano in commercio. Personalmente li reputo inutili, in quanto la loro funzione poteva trovare applicazioni nella fotografia analogica, sia per bilanciare cromaticamente una pellicola inadatta alle condizioni di luce, sia per effetti "creativi". Col digitale ormai i colori non sono più un problema, grazie alla funzione di bilanciamento del bianco e alle infinite possibilità offerte dai programmi di elaborazione immagine.

Filtri digradanti a vite:

I filtri a vite hanno il pregio di poter essere montati sull'obiettivo in maniera semplice e senza particolari difficoltà. Il loro maggior difetto è quello che la gradazione del filtro avviene lungo una linea di demarcazione fissa, che non può essere spostata a piacimento come con le lastrine. Questo limita molto le possibilità creative e ci fa perdere molte potenziali foto.

"Non monterei mai un filtro di plastica davanti al mio obiettivo da 2000 €":

Con i filtri di plastica il grande Galen Rowell, assiduo collaboratore di National Geographic e altre importanti pubblicazioni internazionali, scattava foto come queste usando l'ammiraglia Nikon F3, il Nikkor 24 f/2.8 e pellicole Kodachrome 25 o 64 ASA:

© Galen Rowell: fonte www.sierraclub.org

© Galen Rowell: fonte www.sierraclub.org

Mi sembra logico che, dinnanzi alle possibilità creative dei filtri , rinunciarvi per una considerazione di "differenza economica di valore e 'quindi-di-resa' " sia molto limitante.

"Non sarebbe possibile ottenere gli stessi risultati in postproduzione?"

La mia risposta è no, nel senso che i filtri consentono una grande naturalezza di immagine. I migliori HDR (immagini High Dynamic Range) si possono solo avvicinare all'aspetto di una foto fatta coi filtri. Solo in certe e favorevoli occasioni una doppia esposizione ha una resa paeagonabile ai filtri, ma non è sempre cosa fattibile e comunque serve una gran quantità di tempo al computer per unire foto ad esposizione differente.
Riguardo al confronto qualitativo tra le due tecniche c'è un interessante articolo di Darwin Wigget sul blog della Singhray: http://singhray.blogspot.com/2006/12/close-look-at-high-dynamic-range-hdr.html.
Anche per chi non è paratico con l'inglese, le foto parlano chiaro. Il blog indicato è di parte, nel senso che è il blog commerciale del migliore produttore mondiale di filtri, ma l'articolo è assolutamente obiettivo, scritto da un autore di foto paesaggistica molto rinomato a livello internazionale.
Parlare di HDR a livello creativo è chiaramente un'altra cosa. C'è chi lo utilizza in maniera impeccabile per necessità stilistiche, con colori molto pronunciati ma senza esagerare col tone mapping di Photomatix (il principale software di HDR), ovvero il sistema software che rimappa i toni per otternere l'immagine HDR.

"Non utilizzerei mai un polarizzatore visto che il mio obiettivo è talmente buono da saturare già i colori":

Gente che fa affermazioni simili non ha evidentemente capito l'utilità di un polarizzatore e non sarebbe neanche in grado di utilizzarlo in maniera creativa. Il polarizzatore ha come scopo principale quello di eliminare i riflessi da una superficie non metallica. I riflessi, da quelli macroscopici sulle superfici d'acqua a quelli piccoli e lattigginosi sulle foglie delle piante, vengono eliminati fisicamente dal polarizzatore. I risultati sono un colore più puro, l'eliminazione di riflessi indesiderati e un netto miglioramento del contrasto in condizioni di piena luce. Il tutto porta ad immagini migliori e più leggibili. Un colore più puro appare ovviamente anche più saturo. Immaginiamo che nella foto seguente non ci sia il polarizzatore. Aumentando la saturazione i colori sarebbero belli, ma ci sarebbero migliaia di puntini lattiginosi sulle foglie e un contrasto d'immagine meno intenso e piacevole di questo.


Non da ultimo occorre considerare anche che quando non cè luce da polarizzare, come subito dopo il tramonto, in pieno giorno nell'ombra di un bosco o in posizioni sfavorevoli alla polarizzazione, il filtro può essere sfruttato come un normale filtro neutro per allungare i tempi di esposizione.

Altri approfondimenti sui filtri, specie per la fotografia di paesaggio, li potete trovare nel blog del competentissimo Alberto Segramora:

giovedì 12 giugno 2008

Filtri Cokin serie P

Per la fotografia di paesaggio i filtri ottici, in piena era digitale, sono ancora indispensabili per ottenere fotografie naturali e di assoluto valore tecnico ed estetico. Usandoli ormai da diverso tempo ho acquisito una certa familiarità con essi e spesso mi chiedono chiarimenti sui filtri che utilizzo: i Cokin serie P. La Cokin produce varie serie di filtri: A, P, Z-PRO, X-PRO. La discriminante tra le varie serie è principalmente la dimensione massima dei filtri utilizzabili. In particolare le serie Z-PRO e X-PRO sono adatte alle fotocamere medioformato, molto più grandi delle normali reflex, oppure per reflex con obiettivi ultragrandangolari, in cui è importante il problema della vignettatura dovuta al portafiltri Cokin sulle serie A e P. Per le reflex digitali la serie P (per diametri di filettatura esterna fino a 82mm) è quella più diffusa, anche se sono noti i problemi con le lenti ultragrandangolari di cui mi occuperò più avanti nell'articolo. D'ora in avanti mi riferirò esclusivamente alla serie P.

Ogni serie di filtri Cokin è basata sul principio che tutti i filtri del sistema possono essere montati su tutti gli obiettivi in nostro possesso; viene sfruttato un particolare sistema, come mostrato in Figura 1 [fonte]. Un anellino adattatore viene avvitato sull'obiettivo. L'anello adattatore ha un diametro esterno di valore fisso, che viene sfruttato per incastrarci il portafiltri. Sul portafiltri vengono inseriti i filtri. Il vantaggio è quindi quello di avere un solo filtro e poterlo montare su più di un obiettivo, semplicemente cambiando il solo anello adattatore.

Figura 1: Sistema Cokin serie P

Nel portafiltri standard, denominato holder, ci sono 3 slot normali ed un intaglio in cui è possibile inserire:

  • Lastrine (nelle slot)
  • Polarizzatore di forma tondeggiante (nell'intaglio)

Ogni filtro viene denominato con una sigla alfanumerica del tipo PNNN, in cui il numero "NNN" denomina univocamente il tipo di filtro. Il polarizzatore è unico per tutta la serie ed è identificato dalla sigla P164 (anche se ne esistono alcune vcarianti colorate). Si tratta di un filtro in vetro sulla cui circonferenza esterna c'è una lamina seghettata che è utile per ruotare facilmente il polarizzatore nel suo intaglio.
Le lastrine che più si utilizzano nella fotografia di paesaggio sono i filtri neutri e i filtri digradanti (altresì conosciuti come graduati); sono invece inutili i filtri colorati che si utilizzavano con la pellicola.


I filtri neutri sono delle lastrine opache, la cui opacità è legata alla quantità di luce che il filtro è in grado di bloccare. Servono quindi ad allungare i tempi di esposizione quando richiesto per motivi tecnici o espressivi. L'entità dell'opacità è detta graduazione e si misura in stop di esposizione (EV). In Cokin la graduazione si misura con le sigle ND2, ND4 e ND8 , che corrispondono a 1, 2 e 3 EV rispettivamente (equivalenti alle sigle 0.3, 0.6, 0.9 per altre marche di filtri). Principali sigle [fonte]:
  • P152 : ND2: 1 stop
  • P153: ND4: 2 stop
  • P154: ND8: 3 stop
I filtri digradanti, o graduati (graduated in inglese), sono lastrine che hanno una parte opaca che sfuma in una parte trasparente. La sfumatura avviene tipicamente a metà del filtro. La parte trasparente non influisce sull'esposizione, mentre quella opaca ha lo stesso effetto di un filtro neutro. Questi filtri sono spesso usati per compensare le differenze di esposizione tra cielo e terra, in modo da ottenere una foto perfettamente esposta senza nessuna doppia esposizione o HDR. La graduazione è la stessa dei filtri neutri e quindi avremo i Graduated ND2 , (G) ND4 e (G) ND8 , che corrispondono a 1, 2 e 3 EV rispettivamente (equivalenti alle sigle 0.3, 0.6, 0.9 per altre marche di filtri). Principali sigle [fonte]:
  • P120: GND2: 1 stop (sulla carta è un po' più di 1 stop)
  • P121: GND8: 3 stop
  • P121L: GND2: 1 stop
  • P121M: GND4: 2 stop
  • P121S: GND8: 3 stop
  • P121F: GND8: 3 stop con gradazione che si sviluppa lungo tutta la lastrina (usi specifici)
Di solito utilizzo alcuni di questi filtri in abbinata: il polarizzatore P164 (utile per eliminare i riflessi e saturare i colori) con una o due lastrine in base alle necessità di esposizione. In generale sono molto utili il P120 per le esposizioni durante il giorno pieno e poco prima del tramonto. Per il tramonto torna molto utile il P121, da 3 stop.

Vignettatura con ultragrandangoli:

Nel paesaggio i grandangoli sono molto utilizzati e questo ha delle ripercussioni sull'uso dei filtri. Si ha infatti il problema della vignettatura meccanica, in cui parte del portafiltri o addirittura del polarizzatore entrano nell'inquadratura a causa dell'ampio angolo di campo dell'obiettivo unito allo spessore del sitema. L'effetto è molto sgradevole, come si vede in Figura 2 (cliccare per ingrandire). In questo caso ho scattato con polarizzatore e una lastrina a 14 mm. A 12mm l'effetto è molto più pronunciato.

Figura 2: vignettatura "meccanica"

Come già accennato, i filtri serie P hanno dei notevoli problemi da questo punto di vista. Per esperienza personale posso dire che si può usare il portafiltri standard solo per focali da 15mm in poi su formato digitale APS-C (Nikon DX). Questo causa ovviamente problemi con grandangoli del tipo 12-24 o, ancora peggio, 10-20 su DX. Su fomato fullframe (Nikon FX) si ha lo stesso problema con obiettivi come il 17-35 e simili. E' possibile trovare in negozi ben forniti un holder "wide-angle", dotato di un solo slot e di un solo intaglio, ma anch'esso vignetta con lastrina fino a 12mm e con polarizzatore fino a 14mm, a causa dello spessore intrinseco del P164. Per poter scattare alla focale minima dei nostri grandangoli ci sono due soluzioni.
La prima è quella di tenere le lastrine a mano davanti all'obiettivo: in questo caso si è molto scomodi e si rischia di non ottenere buoni risultati, perdendo magari delle belle fotografie, ma la situazione migliora con un po' di esperienza; c'è anche il richio che i filtri ci cadano di mano con conseguenze disastrose.
La seconda soluzione è passare ad un sistema di filtri più grandi come il Cokin Z-PRO, il Cokin X-PRO o il migliore LEE. In questo caso però i filtri e gli holder avranno un costo notevolmente più alto, giustificato da un uso intenso e con perfetta cognizione di causa.

Attenzione particolare va fatta anche a riguardo del sistema di filtri Lee, che in questo caso non analizzo nel dettaglio in quanto non in mio possesso. Tuttavia ho potuto vedere dei test effettuati con questo sistema di filtri. Premetto che nel sistema Lee l'holder, a differenza dei Colkin serie P, è assemblabile con un numero variabile di slots tramite delle guide fissate da vitine.
In particolare, utilizzando solo lastrine digradanti non si ha nessuna vignettatura neanche con tutti gli slot montati a 17mm sul formato pieno fullframe (Nikon FX), con l'unico accorgimento di utilizzare un anello adattatore del tipo "wide angle". Il polarizzatore invece può dare dei problemi, in quanto montato dalla parte opposta rispetto alla lente frontale dell'obiettivo. pur utilizzando anelli adattatori wide-angle. In tal caso, usando polarizzatori normali (Lee o B+W da 105 mm), si incorre nella vignettatura solo usando due slot alla minima focale di 17 mm. Da 19 mm la vignettatura è praticamente del tutto eliminata anche usando due slots e il polarizzatore B+W.
Con un solo slot invece la vignettaura viene praticamente evitata. Nella foto seguente viene mostrato un confronto diretto a 17 mm su fullframe (equivalente a poco meno di 12mm su DX). Ringrazio il gentilissimo Salvatore Maione, che ha eseguito il test e mi ha fornito i risultati. Consiglio la visione del suo portfolio su pbase per apprezzare le sue foto e avere tanti esempi d'uso di filtri Lee su Nikon D700 FX.



Dominanti:

Altro problema noto per questi filtri è la comparsa di una dominante magenta nell'uso di almeno due lastrine neutre contemporaneamente. Questo implica che i Cokin non sono propriamente dei filtri neutri al 100% come lo sono invece i professionali Lee o Singh-Ray. L'entità di questo problema è più pronunciato nelle fotocamere più vecchie e/o di fascia base, probabilmente a causa delle caratteristiche del sensore. Per esempio su macchine come la Nikon D200 o D300 il fenomeno è scarsamente avvertibile se comparato ad una D70. Nella fotografia al tramonto, in cui la luce ha colori caldi, questo effetto potrebbe essere anche gradevole, ma con una luce diversa diventa fastidioso.

Conclusioni:

Nonostante i difetti di cui ho parlato, reputo i Cokin un ottimo prodotto. Sicuramente sono una soluzione economica che funziona perfettamente per ottenere belle fotografie, prima impensabili, e per impare ad usare i filtri. Per consigli, chiarimenti o semplicemente per sapere dove acquistarli potete contattarmi tramite e-mail all'indirizzo indicato nelle sezione contatti. Le foto scattate utilizzando i filtri in questione sono rintracciabili utilizzando la ricerca per etichette (filtri gnd e polarizzatore) del blog.

Aggiornamento 3 Settembre 2008:

Ho scritto un post di approfondimento sui filtri, con ulteriori chiarimenti, riflessioni ed immagini. Potete cliccare su questo link:


martedì 12 febbraio 2008

Plugin PTLens per la correzione dei grandangoli

Gli obiettivi grandangolari hanno molti pregi: l'ampio angolo di campo consente di riprendere grandi porzioni di scena e soprattutto riescono a dare un senso di immersione completa nel paesaggio circostante. Per utilizzare al meglio questo tipo di ottica si dovranno tenere in conto diversi aspetti. Innanzitutto la composizione di un'immagine risulta molto più difficile rispetto ai teleobiettivi, ma questo dipende soprattutto dal fotografo. Gli altri aspetti sono principalmente i difetti dell'ottica e la deformazione prospettica.

Tutti i grandangoli, in differente misura dai più economici a quelli più costosi, soffrono di alcuni difetti. In particolare mi riferisco alla distorsione, responsabile di un certo "arrotondamento" dell'immagine. Vi sono poi problemi di aberrazione cromatica e di vignettatura.
Mentre in genere questi ultimi due difetti sono abbastanza tollerabili, la distorsione può essere invece particolarmente fastidiosa.

La deformazione prospettica dipende invece da come viene ripresa la scena. Se si vuol fotografare per esempio un palazzo, di solito inquadriamo dal basso verso l'alto. Col grandangolo otterremo un edificio coi muri obliqui, le cui ideali propagazioni si ricongiungono verso il punto di fuga prospettico. Effetti di deformazione di tal tipo si ottengono sempre e comunque quando il piano del sensore non è perfettamente parallelo al piano inquadrato. Ovviamente questo problema si può risolvere con una macchina fotografica perfettamente in bolla oppure con l'uso di obiettivi basculabili, ma ciò non è sempre possibile.

Per correggere questi problemi è possibile utilizzare dei semplici plug-in di Photoshop. In particolare mi soffermerò su PTLens, che è in grado di correggere in toto tutti i problemi sin qui accennati. L'aspetto interessante di PTLens è che esso contiene in sé un database di modelli di fotocamere e di obiettivi. Per questo motivo, PTLens è in grado di correggere la distorsione di tutti gli obiettivi con un intervento automatizzato in base alle caratteristiche proprie di ogni lente. La distorsione di un obiettivo fisso da 20 mm sarà sicuramente diversa per esempio da quella dello zoom da kit 18-70 alla focale di 20 mm e PTLens è in grado di stabilire come dovrà essere corretta. Vedremo meglio questo aspetto poco più avanti.

PTLens lo potete trovare al seguente Link (click), cliccando poi su "download". Il plugin è compatibile con Windows. Per Mac c'è l'equivalente "LensFix", che potete trovare nello stesso link appena segnalato. Il plugin permette di correggere 10 immagini di prova, dopodiché occorrerà acquistare la licenza (sezione "purchase") dal costo di 15$. Questa licenza rimarrà valida anche per le successive versioni del plugin, che viene spesso aggiornato per l'ampliamento dei database di obiettivi e modelli di macchina fotografica.

Una volta installato, potrete accedere al plugin seguendo il percorso Filter>ePaperPress>PTLens. La prima volta vi verrà chiesto di selezionare la lingua del plugin, incluso l'italiano. L'uso di questo software è semplice ed intuitivo.

L'immagine che utilizzerò in questo breve tutorial è quella presentata qui a sinistra (cliccate per ingrandirla). Si tratta di uno scatto di architettura mal riuscito e si presta bene allo scopo. L'obiettivo usato è il Tokina at-x pro 12-24 @12mm. Questo obiettivo non ha molta distorsione, solo un po' alla focale minima e via via minore fino ai 20 mm. Tuttavia se avete, per esempio, un Nikkor 18-55 DX, la distorsione a 18 mm sarà decisamente visibile, molto maggiore del Tokina a 12 mm.



Nikon D200, Tokina at-x pro 12-24 f/4, iso 100, 12 mm, 1/3, f/9




Aprendo il plugin avremo un'anteprima dell'immagine. Sotto l'anteprima occorrerà selezionare "marca" e "modello" della propria fotocamera (reflex o compatta). La lunghezza focale a cui avete scattato l'immagine è automaticamente rilevata da PTLens attraverso i dati exif dell'immagine. Nel caso in esame, potete vedere cerchiata in rosso la lunghezza focale nell'immagine proposta qui sotto. Nella voce "obiettivo" troverete invece un elenco di obiettivi. Selezionate il vostro obiettivo con cura perché se sbagliate sarà sbagliata la correzione della distorsione. Potrete vedere l'effetto dell'intervento cliccando nella casella "anteprima" o "distorsione" (indicata da una freccia rossa)

Il risultato della correzione è la seguente. Si tratta di un'immagine animata, quindi vi consiglio di cliccarci sopra e di attenderne il caricamento.


Nonostante l'intervento, la qualità d'immagine non decade in maniera apprezzabile dopo la correzione. Potete confrontare due crop al 100% dell'immagine al centro e ai bordi. A sinistra vi sono le immagini originali e a destra quelle corrette. Cliccare sulle singole immagini per ingrandirle




Come si può ben vedere, l'immagine di prova è anche storta e deformata prospetticamente. E' possibile correggere manualmente la deformazione prospettica selezionando la scheda denominata "prospettiva" sulla destra, cerchiata in rosso nell'immagine in basso. Muovendo gli slider potrete correggere ad occhio la prospettiva sia in verticale (come l'esempio che ho fatto prima a riguardo della foto di un edificio dal basso verso l'alto) sia in orizzotale. Potrete anche correggere gli orizzonti storti con lo slider della funzione "ruota". Per aiutarsi vi è l'utilissima "griglia", che consiglio vivamente di usare (anch'essa cerchiata in rosso). Prestate molta attenzione alla deformazione di tipo orizzontale: è spesso trascurata e foto che sembrano avere tutte le linee orizzontali perfettamente dritte danno l'impressione di essere storte.
Un'altra cosa importante è il comando "sposta", situato in basso, sopra la voce "griglia". Potete utilizzare le frecce per traslare l'immagine a piacimento all'interno del riquadro. Infatti, per esempio ruotando l'immagine, capita che si formino angoli neri nell'immagine e parti della stessa finiscano al di fuori. Con "sposta" potrete minimizzare questo effetto. Ovviamente una volta dato l'ok dovrete comunque croppare l'immagine per rifilarla, a meno che non decidiate di coprire le parti nere col timbro clone di Photoshop.


Con l'uso della griglia e provando a correggere tutte le deformazioni, ho ottenuto il risultato proposto nella prossima immagine. Anche quest'immagine è una gif animata e quindi consiglio di cliccarci sopra per ingrandirla e attendere il caricamento.

Vediamo un altro esempio di correzione macroscopica. Si tratta di un'immagine del Duomo di Milano. E' notevole la differenza tra immagine non corretta e corretta in distorsione e deformazioni. Ovviamente a seguito delle correzioni sarà sempre necessario croppare l'immagine, come ben si capisce nelle seguenti immagini.

lunedì 17 dicembre 2007

Errori esposimetrici e taratura dell'esposimetro

Può capitare di essere insoddisfatti delle proprie fotografie e spesso le cause principali sono le basi: composizione ed esposizione. Mentre per quanto riguarda il primo punto non ci si può fare molto se non con l'esperienza e con l'evoluzione del gusto personale, sul secondo aspetto spesso se stessi è la causa del proprio male, ma non sempre, come vedremo.

Da un po' di tempo avevo notato un piccolo ma fastidioso problema con l'esposizione delle mie fotografie. Spesso in postproduzione dovevo sovraesporre di pochi decimi di stop (0,2-0,3) l'esposizione dei file Raw (NEF) della mia D200 anche nel caso delle mie foto più riuscite. Quando non aumentavo l'esposizione nello sviluppo del Raw, dovevo comunque lavorare sui livelli di Photoshop per ottenere immagini più brillanti. I primi forti dubbi sull'esposizione sono quindi nati osservando come si svolgeva il mio flusso di postproduzione, che sovente includeva alcuni piccoli interventi di recupero, ma poi hanno trovato ulteriori conferme da quando ho cominciato ad usare più spesso l'esposimetro in modalità spot. Anche se misuravo la scena su un tono medio, spesso la parte dell'immagine in cui era inclusa la zona di misurazione risultava un po' spenta, al di sotto del tono medio. Lo scostamento dal tono medio era però piccolo e in diversi casi non rovinava affatto la fotografia. Nei casi in cui però l'esposione avveniva ad alti iso, sovraesporre o lavorare sui livelli per recuperare brillantezza implicava un leggero aumento del rumore, con degrado della qualità d'immagine. Mi sono quindi deciso ad eseguire dei piccoli test fatti in casa per stabilire se il problema era legato all'esposimetro.

Ogni esposimetro è tarato sul grigio medio, quindi deve restituire una lettura esposimetrica di tono medio anche su superfici che non sono caratterizzate da toni medi. Basandomi su questo fondamento ho deciso di inquadrare una parete bianca e liscia, mettendo la macchina su cavalletto. L'esposizione l'ho regolata secondo quanto stabilito dall'esposimetro, senza nessuna compensazione. La parete bianca non viene quindi resa come bianca poiché questo colore (tono alto) viene letto come grigio (tono medio). Se la parete è uniforme e l'esposizione viene settata precisamente come indicato dalla misurazione, l'istogramma dell'immagine dovrà essere una colonna perfettamente centrata sul grafico.

CLICCARE PER INGRANDIRENel mio caso la colonna era leggermente spostata a sinistra, invece che essere perfettamente centrata. La foto che ho effettuato e poi convertito in scala di grigi è questa a fianco (cliccare per ingrandirla).
Si nota immediatamente che i mezzitoni sono leggermente sottoesposti





CLICCARE PER INGRANDIREHo quindi settato immediatamente una compensazione dell'esposizione di +1/3 EV e scattato una seconda fotografia. Il risultato è stato quello a fianco (cliccare per ingrandirla). In questo caso l'istogramma è perfettamente centrato, quindi posso affermare che la lettura esposimetrica della mia reflex è sottoesposta di 1/3 di diaframma. Ho ripetuto il test cambiando obiettivo, settando l'esposimetro in matrix, spot e media ponderata, cambiando il diaframma di lavoro, ma i risultati sono sempre stati gli stessi indistintamente.



Considerando che ne ho sempre avuto il sentore e che questi test me lo hanno confermato, ho deciso di esporre le mie foto con una compensazione permanente di 1/3 di stop. I risulati possono ovviamente cambiare da macchina a macchina e da modello a modello, quindi non esiste una verità assoluta al riguardo. Nel mio caso ho osservato una sottoesposizone, in altri casi l'esposimetro potrebbe sovraesporre oppure esporre correttamente, comunque restando in un limite di accettabilità dei risultati. I miei gusti mi hanno portato a non accettare questo errore (anche se piccolo), ma voi potreste avere un altro modo di vedere la cosa.

Una volta stabilita l'esistenza effettiva di un errore dell'esposimetro è possibile agire in vari modi: nelle reflex entry-level e prosumer (Nikon D40, D70) si dovrà impostare una compensazione dell'esposizione e ricordarsi di mantenerla sempre. Nelle reflex pro e semi-pro(Nikon D200-D300-D3) è possibile invece tarare l'esposimetro affinché la modifica sulla lettura sia sempre impostata di default e che tale modifica non compaia sulle letture esposimetriche come compensazione. In pratica si può tarare in maniera diversa dalle impostazioni di fabbrica il proprio esposimetro. Se voglio quindi esporre correttamente un tono medio, basta che segua alla lettera le indicazioni dell'esposimetro da me tarato senza alcuna compensazione. L'operazione è del tutto reversibile nel caso in futuro si avessero diverse esigenze.
Nella D200, la taratura fa parte del menu personalizzazioni b7. Accedendo in questo menu compare la scritta "L'icona di compensazione non viene mostrata con questa personalizzazione fine.Continuare?". Selezioniamo quindi "si". All'interno del menu possiamo ora settare la taratura per tutte le modalità esposimetriche (matrix, spot, media ponderata) con passi di 1/6 EV. Nel mio caso ho settato un +2/6 EV per ogni modalità esposimetrica.

Ecco degli esempi di foto effettuate con la letttura errata e con quella corretta. Le differenze sono piccole ma significative. Quella con l'esposizione corretta (a destra) ha infatti delle ombre meno chiuse e ha una maggiore brillantezza. Per verificarlo, cliccate sopra le immagini per aprirle alla loro dimensione originale.
Le inquadrature sono leggermente diverse ma la misurazione esposimetrica è stata effettuata una sola volta sul cielo con esposimetro spot., quindi non può essere stata influenzata neanche minimamente dal cambio dell'inquadratura.

CLICCARE PER INGRANDIRE CLICCARE PER INGRANDIRE

domenica 9 dicembre 2007

Fotografie notturne

La fotografia notturna è un genere estremamente affascinante per tutti i fotografi. Anche soggetti banali traggono profitto dall'atmosfera serale e saperli cogliere al meglio con i mezzi a disposizione è sempre una grossa soddisfazione. Inoltre, nei periodi dell'anno caratterizzati dall'ora solare, la foto notturna rappresenta una grande risorsa per gli appassionati in quanto la luce diurna dura veramente poco e per uno studente universitario impegnato/lavoratore full time uscire a far foto è già una bella impresa...Avere quindi la possibilità di ottenere begli scatti anche quando la luce è scarsa è molto positivo e si concilia maggiormente con gli impegni diurni.

Un paesaggio notturno deve essere un minimo illuminato. Foto a posti completamente bui non consentono di ottenere nulla di buono, a meno che non si vogliano fotografare tracce stellari (vedi foto-cliccarci sopra per ingrandirla) e si abbia a disposizione di un buon contesto paesaggistico che funga da silhouette che si stagli contro il cielo. L'illuminazione dei luoghi può essere naturale od artificiale. La luce naturale può provenire dalla Luna piena oppure da un bagliore nel cielo post-tramonto. La luce artificiale è quella tipica dell'illuminazione cittadina. Ne parlerò meglio più avanti.






Nikon D200, Tokina 12-24, iso 100, 15mm, 2270", f/14, doppia esposizione per il primo piano


Per una buona foto notturna servono alcuni accorgimenti importanti:
  • Un cavallettto robusto
  • Uno scatto remoto ad infrarossi oppure del tipo filocomando
  • Uso della sensibilità minore del sensore
Il cavalletto consente di ottenere foto nitide con tempi lunghi di esposizione. Nessun appoggio improvvisato potrà mai sostituire al 100% un buon cavalletto. Io consiglio vivamente di acquistare un buon cavalletto (Manfrotto o equivalente) e una buona testa sin da subito: per la foto paesaggistica è un accessorio indispensabile e sono soldi ben spesi.
Usando il cavalletto, consiglio sempre di usare l'impostazione di sensibilità iso minima del proprio sensore, altrimenti il rumore degli iso più alti si andrà a sommare a quello termico generato dalle lunghe esposizioni.
Per il calcolo dell'esposizione, consiglio di usare l'esposimetro valutativo (matrix) della macchina, specie se il paesaggio è molto illuminato come per esempio una piazza cittadina. Spesso capita di ritrovarsi in luoghi avvolti nella penombra o molto scuri, in cui la lettura esposimetrica segnalata in matrix va oltre ai 30". e non si riesce ad avere un'indicazione precisa..In questi casi consiglio una tecnica molto semplice ed efficace. Impostiamo il sensore alla massima sensibilità iso e selezioniamo un diaframma aperto, per esempio f/4. Si otterrà così, in genere, un tempo di esposizione minore dei 30" massimi rilevabili dall'esposimetro. Per ottenere l'esposizione equivalente agli iso minimi e al diaframma deciso per la fotografia, occorrerà sfruttare il concetto di equivalenza dell'esposizione. Esempio: rilevo che l'esposizione è di 1" a iso 3200 e f/4. Vorrei però esporre la scena a iso 100 (il minimo per la mia Nikon D200) e f/11 per avere il minor rumore e la massima profondità di campo possibili. Da iso 100 a 3200 iso ci sono 5 stop (EV) di differenza. Da f/4 a f/11 ci sono 3 stop. Quindi dovrò aumentare l'esposizione rilevata a 3200 iso e f/4 di ben 8 stop. Partendo dalla base di 1" otterrò: 1",2",4",8",16",32",64",128",256". L'esposizione da impostare è quindi di 256" f/11 a iso 100. Per avere un tempo di 256 secondi sarà necessario impostare la posa B sulla macchina fotografica, utilizzare un filocomando o equivalente scatto remoto con blocco e ricorrere ad un cronometro per misurare i secondi. Non serve in tal caso una grossa precisione poiché per esempio da 128" a 256" c'è un solo stop di esposizione e sballare anche di una decina/ventina di secondi non ha una grande influenza! Il bello delle esposizioni notturne....
Nel caso in cui l'esposimetro non riesca a leggere l'esposizione si può provare comunque a fare una esposizione di prova (iso 3200, 1", f/4) anche a mano libera e vedere dall'istogramma dell'immagine se l'esposizione possa andar bene. Se va bene si dovranno ripetere i conti visti prima altrimenti si fa un'altro tentativo e si procede via via fino al raggiungimento del risultato voluto.
La tecnica appena descritta è molto efficace, tuttavia in condizioni di luce cangiante come per esempio subito dopo il tramonto, occorrerà fare attenzione. Infatti nel lasso di tempo che passa tra l'esposizione di prova, il calcolo dell'esposizione equivalente, l'impostazione della macchina, e l'esposizione stessa, la luce cambia in intensità molto rapidamente Per questo motivo consiglio sempre di sovrastimare l'esposizione calcolata di una quantità compresa fra 1/3 e 1/2 EV per evitare foto sottoesposte e deludenti.

Un esempio in cui ho usato queste tecniche di esposizione (cliccarci sopra):

L'esposizione l'ho rilevata a iso 3200 e f/8, ottenendo 4". A iso 100 e f/11 ho quindi ottenuto un tempo di 256" di esposizione. In questo caso ho però contato i secondi a mente e ho sforato a 295", errore comunque trascurabile sulle lunghissime esposizioni.











Nikon D200, Tokina 12-24, iso 100, 22mm, 295", f/11


L'illuminazione influisce molto anche sulla resa cromatica dei paesaggi. Se c'è una luce prevalente, si potrà settare il bilanciamento del bianco in maniera molto semplice (tungsteno o fluorescente in base all'illuminazione), altrimenti consiglio il bilanciamento automatico o tungsteno, entrambi molto validi in molte situazioni.
Spesso in città si trovano dei fari arancioni o verdastri: queste sono illuminazioni che non si riescono a bilanciare bene. Esse sono infatti luci monocromatiche (ovvero che non emettono uno spettro completo) ai vapori di sodio o di mercurio: se si sottraessero queste componenti cromatiche alla scena si rischierebbe di ottenere un'immagine grigia e desaturata in quanto non ci sono altre componenti di colore nella luce che illumina la scena. In questi casi utilizzo il bilanciamento del bianco automatico o tungsteno e cerco poi di "salvare" i colori in fase di postproduzione in Photoshop o programma di fotoritocco equivalente, senza esagerare con la correzione per i motivi appena esposti.

In questo caso ho usato bilanciamento tungsteno. Da notare i fari arancioni di cui parlavo prima: In tal caso ho recuperato in parte i colori in postproduzione, ma senza stravolgere l'atmosfera.







Nikon D200, Tokina 12-24, iso 100, 19mm, 252", f/11


Molto importante è anche l'obiettivo usato, poiché da esso dipende la resa cromatica e di nitidezza dell'immagine. In generale obiettivi come i vari 18-55 f/3.5-4.5 o 28-105 e simili hanno una brutta resa: perdono di definizione e i colori in notturna sono spesso impastati. Obiettivi fissi (come il Nikkor 50 f/1.8 D -clicca per la recensione in notturna di questa lente- , il Nikkor 50 f/1.4 ed il Nikkor 35 f/2 D) e gli zoom di fascia medioalta/top sono invece ottimi da questo punto di vista (Tokina 12-24, Sigma 10-20, Nikkor 12-24, Nikkor 28-70 f/2.8, Nikkor 80-200 f/2.8....).
Un'altra cosa che può essere d'aiuto nella ricerca della qualità è una bolla a livella da montare sulla slitta a caldo per il flash. Questa bolla consente di sitemare l'inquadratura in modo da ottenere sempre orizzonti perfettamente dritti, cosa estremamente utile soprattutto al buio.

Ecco un esempio di foto scattate con Nikkor 50 f/1.8D e Tokina 12-24 f/4:

In questo caso ho esposto con la tecnica prima discussa. Il bilanciamento del bianco è stato settato su "tungsteno". La messa a fuoco è stata manuale sul profilo della casa. La resa cromatica e di nitidezza è dovuta alla grande bontà di questo obiettivo. Da notare anche il pregevole effetto stellato con raggi molto fini del lampione, anch'esso dovuto all'obiettivo.








Nikon D200, Nikkor 50 f/1.8, iso 100, 62", f/8



L'esposizione è stata calcolata anche in questo caso con la tecnica prima discussa. Il bilanciamento del bianco è stato settato su "auto". La messa a fuoco è stata manuale, sfruttando l'iperfocale (ottima tecnica con i grandangolari). La resa cromatica e di nitidezza è dovuta alla grande bontà di questo obiettivo.










Nikon D200, Tokina 12-24, iso 100, 22mm, 335", f/11

venerdì 25 maggio 2007

Ricomincia la stagione delle macro...

Ricomincia il periodo delle macro, finalmente. Con un buon obiettivo macro Sigma 105 f/2.8 EX (la cui recensione la trovate sull'ottimo blog di Alberto Segramora), un cavalletto stabile Manfrotto 055prob ed un flash esterno Sigma ef-500 dg super, ho finalmente a disposizione un equipaggiamento ideale per riprendere i miei soggetti preferiti, soprattutto libellule. Attualmente le tecniche che preferisco sono due. Per i soggetti immobili uso il cavalletto sia per evitare il mosso che per comporre correttamente l'immagine. Il cavalletto consente di riprendere i soggetti sotto la luce naturale, senza flash o con flash molto sottoesposto, quindi con colori molto neutri e mai artificiali. Inoltre è possibile esporre l'immagine anche per lo sfondo. Nella foto sotto vediamo un esempio molto interessante.

iso 200, 105 mm, 1/10, f/9, treppiede, mirror up


Per soggetti fuggevoli, con cui è impossibile piazzare il cavalletto, preferisco utilizzare la fotocamera a mano libera, con flash in wireless puntato dall'alto verso il basso sopra il soggetto con un angolo di circa 30° rispetto all'asse dell'obbiettivo. Il flash consente di bloccare l'immagine anche con tempi relativamente lunghi, quindi impongo un tempo di 1/60, suffficiente anche per esporre un minimo anche lo sfondo, e un diaframma a mia scelta, tipicamente f/11. Tale diaframma consente di avere una profondità di campo sufficiente per la ripresa di soggetti sottili e allungati come le libellule. Occorre ovviamente che il sensore sia il più possibile parallelo al corpo dell'insetto per evitare che parte del soggetto fuoriesca dalla zona nitida garantita dalla profondità di campo. Per scattare a mano libera occorre inoltre impostare un rapporto di ingrandimento ideale per il soggetto in messa a fuoco manuale e poi spostare fisicamente la fotocamera avanti e indietro fino alla messa a fuoco sul punto voluto. In questi casi si deve sempre essere pronti a scattare poiché a mano libera non si rimane mai fermi come si vorrebbe, quindi si deve letteralmente cogliere l'attimo.

iso 100, 1/60, f/11, mano libera, flash

iso 100, 1/60, f/11, mano libera, flash

martedì 10 aprile 2007

Settaggio wireless flash Sigma ef-500 dg super su D200

Ho acquistato di recente l'ottima D200, una macchina eccezionale che da subito mi ha dato grandi soddisfazioni. Uno dei primi problemi che ho dovuto affrontare è stato però il settaggio del flash Sigma ef-500 dg super Na-ittl per la gestione della modalità wireless in ttl. Infatti il manuale del suddetto lampeggiatore è alquanto oscuro e non riuscivo a risolvere il problema autonomamente: macchina e flash non volevano comunicare tra loro per l'emissione del lampo in ttl wireless. Ora ho la soluzione a portata di mano grazie alla gentilissima consulenza fattami da un utente del forum Nital (Twinspack, che ringrazio).

Importante: questa procedura è valida per i flash con firmware aggiornato. I vecchi lotti di produzione di questo modello non erano compatibili in wireless ttl con la D200. Il mio modello è della fine del 2005 ed è correttamente funzionante. L'aggiornamento del firmware è possibile contattando direttamente l'assistenza di Sigma.

La procedura da seguire appare un po' elaboriosa ma è assolutamente la giusta strada da seguire per sfruttare questo flash Sigma, che è molto diffuso per via delle sue ottime qualità di potenza, prestazioni e prezzo. Ed è in realtà semplicissima.

1) Settare il flash interno come commander (menu personalizzazioni e3):

- impostare "--" se non si vuole che il flash di popup non influisca sull'esposizione
- impostare "ttl" se si vuole che anche il flash di popup contribuisca all'illuminazione della scena
- impostare "M" se si vuole che il flash interno influisca sull'illuminazione ma senza
l'automatismo ttl

2) Montare il Sigma ed accenderlo

3) Premere a metà il pulsante di scatto, e premere il tasto mode del
flash fino a far comparire la scritta “C C1 F*.* (valore del diaframma impostato
sulla macchina)”.

4) Premere nuovamente a metà il pulsante di scatto, quindi premere mode e far comparire la scritta 1 C1 SL.

5) La luce del flash inizierà a lampeggiare, ed è possibile spengerlo e smontarlo
dalla macchina.

Con queste impostazioni il flash potrà finalmente dialogare correttamente con la macchina. Spegnendo il flash esterno, il settaggio per il wireless rimarrà impostato senza quindi ripetere ancora la procedura. Il settaggio per il wireless ttl sarà invece perso nel caso in cui si schiacci sul flash il pulsante "mode". In tal caso occorrerà ripetere la procedura da capo. Il settaggio vale anche nel caso si cambi focale od obiettivo, quindi non si deve ripeterlo ogni volta.

Spero di esser stato utile a quanti avevano dei dubbi al riguardo. Potete scaricare un file pdf in cui ho segnato questa procedura al seguente link: Savefile.com

Se il link sopra risultante fosse scaduto o malfunzionante potete contattarmi alla mail indicata in sidebar.

martedì 20 marzo 2007

Esperimenti di bianconero

Il bianconero (Black and White, BW, nel seguito) è una tecnica fotografica estremamente complessa se si vogliono dei risultati più che accettabili. Occorre curare innanzitutto la fase di ripresa, cercando appositamente delle scene contrastate, possibilmente con luce intensa e ombre forti. L'esposizione deve essere curata per evitare "bruciature" dei bianchi o pesanti sottoesposizioni sulle zone più importanti e ricche di dettaglio dell'immagine. In digitale si deve poi operare con tecniche più o meno complesse ma molto precise di postproduzione per ottenere il giusto compromesso tra esigenze estetiche, di visione e di resa dei dettagli. La differenza tra due BW tratti dalla stessa immagine di partenza può anche essere minima ma decretare il prevalere di una versione sull'altra. Tutti questi motivi mi hanno sempre scoraggiato dall'affrontare il BW in maniera seria, fermo restando che prima o poi dovrò affrontarlo di petto. Nel frattempo mi sono limitato a cercare alcune immagini del mio archivio che potessero prestarsi ad esperimenti di BW ragionato in previsione di uno studio più approfondito.

Non ho mai avuto prima d'ora un'idea precisa di come dovesse essere un BW. Alcuni ritengono che si debbano ottenere immagini in BW pulitissime, ovvero nitide e prive di rumore elettronico o grana; altri prediligono invece la presenza di grana e una nitidezza meno esasperata. A livello di contrasto sono tutti d'accordo che esso debba essere alto, con neri profondi e grigi squillanti: in tal caso però c'è chi predilige un nero talmente preponderante da coprire molti dettagli per avere una maggior drammaticità.

Dopo aver "letto" un libro fotografico di Toni Nicolini (fotografo del TCI) del 1978, dedicato alla città di Venezia, mi sono innamorato di quell'effetto sgranato, rumoroso e molto contrastato (ma non eccessivamente) tipico delle vecchie foto di reportage anni '70. All'epoca si usava ovviamente la pellicola e allora la domanda che mi sono posto è : "come posso duplicare la resa di una pellicola da BW in digitale con Photoshop?". La risposta l'ho parzialmente trovata su internet ed è basata sullo strumento "miscelatore canale di photoshop".

Tale strumento si usa spesso per ottenere BW spuntando l'opzione "monocromatico" (Vedere figura a fianco). Il miscelatore consente di mescolare i canali monocromatici R G B per ottenere l'effetto voluto e giocando con le percentuali si ottengono BW diversi. Ogni pellicola in BW può essere riprodotta a partire da un set di valori consigliati per R G B. In tal modo si ottengono le combinazioni di grigi che più si avvicinano alla resa della pellicola. Un'ottima pellicola era la Fuji Neopan 1600 i cui valori consigliati (si veda il prossimo link) sono R= 36% G=25% B=39%.





Io ho usato questi valori per tutti i miei esperimenti, ma ovviamente ognuno ha i suoi gusti e potete trovare altri valori di altre pellicole come la Ilford HP5 qui: Photography tutorials


Occorre inoltre utilizzare, e questo è stato il mio piccolo intervento, anche una curva ad "s" per aumentare il contrasto dell'immagine (Vedere foto a fianco), altrimenti l'immagine semplicemente convertita col miscelatore canale tende ad essere piatta e poco significativa. Occorre creare una s molto ampia ed accentuata, anche a rischio di perdere un po' di dettagli nelle ombre e nelle luci, per poter replicare quell'effetto anni '70 a cui mi riferivo precedentemente. Comunque anche in questo caso si parla di gusti strettamente personali.





Ultimo passo è l'aggiunta della grana, che ovviamente deve essere tanta (pellicola 1600 ASA). In Photoshop CS2 si applica una grana dall'aspetto piacevole e reale in questo modo:
  • Creare un nuovo livello vuoto
  • Edit (Modifica)>Fill (Riempi) >Gray50% (Grigio al 50%)
  • Cambia il metodo di fusione in "Overlay" ("Sovrapponi")
  • Noise (Rumore)>Add noise (Aggiungi rumore)>scegliere la percentuale voluta (io uso 8-9%)
  • Layer (Livello)>Merge down (Unisci sotto)
In omaggio a Toni Nicolini, di cui purtroppo non c'è un sito ufficiale a lui dedicato al momento della stesura di questo post, propongo qui di seguito una parte degli scatti eseguiti a Venezia e convertiti in BW. Il risultato mi pare accettabile a livello qualitativo e rappresenta sicuramente uno spunto per nuovi ed approfonditi studi su questa tecnica fotografica. Buona visione.

Clic
care sulle immagini per ingrandirle